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sabato 23 luglio 2016

Agricoltura conservativa e agricoltura organica. Una combinazione possibile?

E’ passato un po’, me ne rendo conto. Non che nel frattempo non si sia scritto di nulla, anzi. A volte però vale la pena di essere sinceri con se stessi e lasciare che i tuoi argomenti li tratti al meglio chi la ricerca la vive. Negli ultimi mesi abbiamo lavorato nell’ombra, ci siamo aggiudicati un prestigioso startup per la realizzazione di un sensore che cambierà il modo di leggere il suolo, e trepidiamo per il responso di un progetto che ci dovrebbe portare dove l’energia del futuro sarà nel 2017.
Negli ultimi mesi a dire il vero più che nell’ombra siamo stati parecchio a picco sotto il sole, gomito a gomito con le problematiche terra-terra dei nostri bravi agricoltori.

E proprio in questo momento, da sotto la mietitrebbia, vanno prese decisioni fondamentali che impattano oltre la campagna scorsa, la presente e la prossima. La resa, i prezzi traballanti, le spontanee, gli accordi, i contratti, il terreno, le macchine, i premi, le filiere: in questo momento di caos perfetto (e non di perfetto caos), da qualche tempo, nel mondo delle commodity ci si è messo di traverso anche il “disciplinare di produzione organica”. E’ così infatti che chiamo il cosiddetto “metodo biologico”, per ricordarmi ogni giorno che non si tratta solo di una termine da scaffali patinati, carichi di cruscami variopinti per ortoressici dal portafoglio trabordante, ma di un metodo di produzione pieno di sfumature tecniche interessanti che prevedono la progressiva adozione di approcci bottom-up e integrati escludendo la chimica di sintesi.


Soia seminata su sodo su cereale a paglia


QUESTIONI DI NORMA

Chiariamolo subito: io non sono contro il bio! Anche perché, di fatto, mi dà spesso di che mangiare in entrambi i sensi. Lo vorrei solo meno tradizionalista ed ideologico, più snello e libero di tutte quelle procedure che rallentano il “decision making” di campagna facendo ammattire gli addetti ai lavori.
Se mi è concesso un piccolo sfogo ormai questo regolamento (UE 834/07), nato e strutturato su “microproduttori paraobbisti”  è vetusto, considerando che gli imprenditori agricoli che si affacciano a questo metodo sono ormai, e per fortuna, realtà strutturate, caratterizzate da tempi ristretti, ricorso ampissimo al contoterzismo e accordi di filiera da onorare con produzioni ad elevato contenuto tecnologico.
Queste problematiche incrociano un momento storico in cui l’agricoltura sostenibile ha i mezzi e il dovere di intensificare e di diversificare le produzioni verso colture che non sono più solo alimentari ma industriali; dobbiamo infatti, al più presto, entrare nell’ottica di produrre fibre, molecole, polimeri integrando settore primario e industria valorizzando contemporaneamente l’ambiente.
Troppo spesso purtroppo, anche se in buona fede, i Psr Italiani hanno scaricato la funzione di agro-ambiente al sostegno ciclico per l’introduzione e il mantenimento dell’Agricoltura Biologica, centrando anche l’obbiettivo secondario di orientamento al mercato. Gli imprenditori professionali hanno trovato via via un proprio “swing” per valorizzare il prodotto ma molti si sono marginalizzati ed hanno semplificato l’ordinamento colturale per ridurre al minimo il carico organizzativo, puntando al contributo a grassa compensazione di scarse (e scarsamente cercate), rese.


TECNICHE E TECNICISMI

Ma tornando al core dello scrivere, da grande sostenitore dell’agricoltura conservativa, mi capita spesso di ragionare sul “how” del combinarla con il metodo organico.
Complementari per approccio, identiche per scopo (tutala della fertilità del suolo e riduzione degli input esterni), queste metodologie si rivelano spesso in apparente antitesi al momento della stretta applicazione.
Se il bio si fa per aumentare i ricavi però, la marginalità del conservativo risiede tutta nel contenimento dei costi.
Nondimeno se il bio è in qualche misura accessibile anche con professionalità pressochè nulla (vedi medicaio perpetuo), la minima lavorazione richiede un livello di percezione del proprio agire quasi trascendentale.
Cresciuto a pane, lean thinking e Sun Tzu, l’idea del massimo rendimento con minimo sforzo, dell’acqua che scivola sui tetti e del terreno che si macro e microstruttura autonomamente mi origina un orgasmo tecnico agronomico. Ma il pensiero di provare a risolvere i problemi del pieno campo organico sfruttando la copertura continuativa, il soffocamento delle spontanee e la rielaborazione dei nutrienti delle essenze erbacee, è di più; è un’asticella professionale fissata molto in alto, e la voglio saltare a piedi pari!

Distinguiamo subito le due branche del conservativo. La semina su sodo è la semina su sodo: non si rivolta la zolla, non si erpica, non si smuove il terreno in alcun modo se non per decompattamento orizzontale a media profondità. La minima lavorazione consente invece di lavorare ma a ridottissima profondità, riducendo al minimo i passaggi oppure su file dette “strip till”, tipiche delle colture sarchiate. Ancora, la copertura continuativa è una tecnica che prevede di non avere mai comunque suolo nudo ma perlomeno coperto da residui del precedente o da colture intercalari a perdere o a rendere dette cover crops.


Seminatrice pneumatica da sodo.


I fattori che entrano in gioco nella combinabilità al bio di pieno campo sono dettati dalle disposizioni attuative nazionali del 834/07 contenute dal DM 18354/2009. Infatti se il “comandamento” delle rotazioni di 834 sancisce: “una specie non può ricomparire sul medesimo appezzamento per almeno due cicli colturali successivi di cui almeno uno è costituito da leguminosa o sovescio (quest’ultimo rimane in campo almeno 70 giorni da semina a processazione)”
Il DM 18354 viene in soccorso decretando, al preziosissimo Articolo 3, “i cereali a paglia e il pomodoro da industria possono succedere a se stessi per due cicli consecutivi cui debbono succedere due cicli consecutivi con due specie differenti di cui almeno uno leguminosa o sovescio”.
Il limite in cui ci si muove è questo, niente di più e niente di meno, per ora!

Ma iniziamo a considerare alcuni elementi di carattere agronomico del conservativo.
La copertura vegetale continuativa, viva o morta, contiene chiaramente l’ erosione dovuta a vento e pioggia battente, come anche il dilavamento e il “bruciarsi” di sostanza organica per ossidazione. Accompagna inoltre dolcemente l’infiltrazione dell’acqua, che tende ad essere conservata più facilmente per via di una strutturazione migliore nonché di un compattamento inferiore.
Un’intelligente approccio conservativo, deve sfruttare l’alternanza di diverse specie in primo luogo per limitare l’affermarsi del gruppo di spontanee più aggressive di ciascuna coltura, fatto irrinunciabile anche nel bio. L’azione delle colture di copertura sul suolo può essere determinante:
apparati radicali a diversa forma, approfondimento ed ingombro “lavorano” il terreno macro e micro strutturandolo;
ciascuna specie elabora i nutrienti ed il pH a modo proprio, creando le condizioni di fertilità per la successiva;
l’effetto allelochimico di alcune è importante fattore di contenimento dei fattori limitanti delle altre.
In quest’ottica viene meno un cardine dell’agronomia classica che mi si è sempre messo di traverso: la “coltura miglioratrice”. Nell’accoppiata bio-conservativo ogni coltura può essere miglioratrice a seconda delle proprie capacità di determinare le migliori condizioni per la successiva o il contenimento dei limiti imposti dalla precedente.


Brassica carinata nota per gli effetti di risanamento del terreno.


Uno dei problemi più spinosi del bio è nutrire le colture. Al di là dell’uso, non sempre conveniente, di specie molto autonome e poco esigenti, apportare le utilissime 160 unità di N al campo, frazionate per capacità di cessione del concime a cifre comprese ad oggi tra i 150 e i 200 €/ha, è un miraggio con i mezzi a disposizione. Anche qualora praticabile tecnicamente, soddisfare lo stesso apporto, con pellettato organico ai titoli più sostenuti (e credibili), verrebbe a costare fino a 600 €/ha per una cessione atta a manifestarsi in tempi infinitamente più lunghi e quindi una disponibilità quasi mai a tempestivo sostegno delle fasi fenologiche critiche.
Le armi in dotazione sono allora il sovescio per l’integrazione di nutrienti e sostanza organica, gli inoculi del seme con rizobi e micorrize per moltiplicare la capacità delle colture di gestire il substrato, le corrette successioni per definire una fertilità ottimale ad ogni nuovo investimento e l’approccio conservativo per avere un suolo indisturbato e in gran forma.


Rizobi e micorrizze moltiplicano la superficie di contatto
delle radici con il terreno, l'assorbimento di nutrienti specifici e
la capacità della pianta di resistere agli stress biotici ed abiotici.


ESIGIENZE E PROBLEMATICHE

Il sodo o la minima lavorazione si affrontano esclusivamente in un modo: means and methods (materiali e metodi).
I macchinari adatti sono la traslazione agromeccanica di Mike Tyson tra l’89 e il ‘92: velocità, peso e correttezza di esecuzione.


Mike Tyson si allena al "heavy bag" (anni '80).


La pratica del sodo, in particolare, esclude la gran parte degli attrezzi da pre e post semina fino alla sola raccolta e si risolve in seminatrici complete capaci di assolcare verticalmente, tagliare il residuo senza affondarlo, deporre il seme e non creare soluzioni di continuità tra questo e il terreno. Il tutto a velocità davvero sostenuta.
Decompattare può essere utile a seconda di suolo e colture ma indispensabile nei primi tempi, in assenza di una vera strutturazione. Ecco allora che entrano in gioco dei simil-ripper a bassa profondità con coltelli larghi e piatti quasi orizzontali al piano di campagna; il loro ruolo è quello di alleggerire il compattamento senza formare zolle in superficie tipiche del discissore classico profondo ad ancore inclinate.


Decompattatore a media profondità con
ancore piatte e ortogonali ai discissori.


Economicamente le prove concordano nello stimare un risparmio medio tra i 50 e gli 80 € a Tonnellata di prodotto con una riduzione superiore al 50% sia di carburante che tempo lavoro, conseguenza di un numero di passaggi in campo che da 4 a 8 si riduce a 2 o 3.
Il calo di resa si accentua in maniera direttamente proporzionale alle esigenze della coltura: nelle sarchiate eccede il 20%, mentre le vernine o i foraggi perdono entro il 10%.
Naturalmente i vantaggi ambientali di fissazione e stoccaggio di GHG nonchè le mancate emissioni dovute alla diametrale riduzione dei passaggi in campo e il ridotto compattamento del suolo, sono tutti aspetti da considerare e che impegneranno un apposito post.


NUTRIRE E PROTEGGERE

Le infestanti, che io chiamo spontanee perché tali sono, dimostrano tutta la loro aggressività nei primi anni. Nel biologico l’aratura profonda è prassi consolidata, nella convinzione che più si sotterrano i semi più questi faticano ad emergere. Il primo limite di questa tecnica è il disturbo continuo dello strato fertile superficiale in un regime in cui la fertilità non è surrogabile. Nel controllo delle spontanee poi l’errore di lavorare pesantemente incide sullo sviluppo delle specie che si propagano per via agamica (rizomatose), i cui propaguli se rotti moltiplicano i punti di attecchimento.
Il seme invece è un problema tosto ma si batte sul lungo periodo. Nell’organico non è possibile intervenire con erbicidi ma nell’accoppiata bio-conservativo possono rivelarsi strategiche le cover crops in alternativa alla dispendiosa falsa semina. Se seminate tempestivamente dopo la raccolta l’affermazione può rivelarsi soddisfacente. Il duplice vantaggio è insito nella possibilità di “soffocare”  le spontanee meno vigorose e di falciare in prefioritura quelle germinate, evitando la dissemina e riducendo lo stock di lungo periodo di materiale di propagazione.
Nei primi anni di applicazione è importante introdurre elementi di varietà con erbai che ostacolano uno spettro più ampio di spontanee. Allo stabilizzarsi delle condizioni è possibile tralasciare l’approccio multilivello, cosicchè, ai fini del bio le colture di copertura saranno sempre più finalizzate all’apporto o all’elaborazione dei nutrienti.


Mais sui residui di erbaio.


Adottando il metodo conservativo, il residuo colturale diviene una risorsa da amministrare con cura. Le disposizioni specifiche delle misure a sostegno nel Psr determinano che questo deve rimanere in campo a proteggere e nutrire il terreno fino alla nuova semina, ombreggiando le infestanti e creando un ambiente ideale per l’affermazione di micro organismi ed animali terricoli utili.
Dal punto di vista del bio la cover crop falciata e lasciata in campo vicaria un sovescio poiché la coltura non esce dal campo. Tale pratica risulta accettata nonché positiva da parte degli Organismi di Certificazione.
Unire entrambe le disposizioni tecniche apre quindi a nuovi approcci di valorizzazione.
Un buon residuo arriva ad una degradazione non completa alla successiva semina, ovvero non espone mai il terreno sottostante. E’ comunque basilare non creare zone di accumulo, starter di asfissie puntiformi o marcescenze. Un buon residuo di partenza dovrebbe avere un rapporto carbonio/azoto, di qui C/N, non inferiore a 25; molto azoto infatti determinerebbe una mineralizzazione eccessivamente veloce, che mina gli obbiettivi di aumento complessivo della dotazione organica del terreno fino allo stabilizzarsi finale tra 11 e 9.
Gli erbai monofiti di leguminose normalmente presentano un basso rapporto C/N quando restituiti al campo (13-15). Apportano circa 30 kg di azoto con la parte epigea, quindi tra 60 e 70 kg se si considera quella ipogea al netto delle tante perdite. Si configurano come soluzione ideale quando il residuo deve degradare rapidamente per poi intervenire con la semina.
Rispetto ai monofiti gli erbai misti con almeno il 40% di composizione epigea in graminacee, presentano rapporti C/N più vicini a 20. Producono molta più biomassa a quasi parità di azoto in valore assoluto e si presentano come validi sistemi di integrazione del contenuto in carbonio del suolo. Va tenuto presente che degraderanno in maniera relativamente lenta e saranno quindi adatti alla successiva semina di una coltura primaverile.
In generale il rapporto ridotto C/N può essere facilmente innalzato impiegando reflui zootecnici per interramento o aspersione superficiale, con costi oggettivamente contenuti ove disponibili.


POSSIBILI SCHEMI E CONFORMITA' DELLE ROTAZIONI

La trasemina di leguminose da foraggio su cereale in accestimento è una pratica consueta dell’allevamento perché permette di avere 2 raccolti di foraggio in un appezzamento con un tempo di occupazione del suolo di circa 1,5 cicli colturali. La tecnica è facilmente applicabile anche alle produzioni cerealicole da granella e presenta il duplice vantaggio di far coprire gli spazi liberi sotto il cereale alla leguminosa (trifoglio in genere), che vedrà il proprio “scoppio” dopo la mieti-trebbiatura dello stesso. L’erbaio di leguminosa che rimane si presterà alla produzione di foraggio o di seme a seconda della convenienza o potrà semplicemente fungere da sovescio. Per le disposizioni del bio questa pratica si configura come “erbaio annuale polifita misto”, che può succedere a se stesso ad ogni ciclo colturale a patto di proporzioni adeguate tra leguminosa e cereale. Per chi si orienta sulla produzione cerealicola è una buona soluzione per non impegnare i terreni ogni due cicli su colture che non soddisfano le aspettative economiche. Per non selezionare le spontanee sarebbe utile far ruotare in ogni caso le specie di cereale ed alternare la leguminosa sfruttando tutto il ventaglio dei trifogli disponibili.


Trifoglio in emergenza sotto cereale a paglia.


Per chi investe nel doppio ciclo diversificante dopo un ristoppio, ed è intenzionato a sfruttare al meglio l’apporto della leguminosa, è utile sapere che non è il ciclo a ridosso della successiva vorace di azoto quello ideale per investirvi, sovesciata o raccolta che sia. In generale infatti queste colture tendono ad innalzare il pH ma soprattutto il loro apporto di azoto va elaborato dal terreno prima di essere disponibile alle piante. Spesso l’esperienza di campo rivela infatti che il primo ingrano dopo il medicaio è povero e stentato mentre il ristoppio è sano e produttivo. La leguminosa a ristoro dell’azoto dovrebbe seguire l’ultima coltura rinettante ed essere seguita, almeno per i cereali a paglia, da una brassicacea come il colza. Queste colture hanno importanti funzioni quali l’allelochimica verso le malattie del terreno e determinate spontanee, il risanamento dal mal del piede dei cereali ma soprattutto la rielaborazione dell’azoto con l’apporto di zolfo, che sappiamo fondamentale per l’organicazione del glutine nella granella stessa. Sono dunque un precedente ideale ancora per investimenti cerealicoli anche perché determinano una temporanea lieve acidificazione del letto di semina che è la condizione ideale per il loro affermarsi.

Il ventaglio di successioni ed abbinamenti sia amplia incredibilmente in zone a buone giacitura ma soprattutto in corrispondenza di mercati che possano assorbire prodotti differenti nel corso dell’anno: leguminose da granella, cereali, colture da seme, da fibra, o dedicate da biomassa. La disponibilità di ibridi di colture estive a ciclo sempre più breve e adatte alla coltura in secca aiuta sicuramente ma il vero plus è poter disporre di una valida seminatrice da sodo, soprattutto se adatta a molteplici tipologie di seme. La tempestività diventa nel tempo un vantaggio insostituibile se paragonato all’incomodo della preparazione e dell’affinamento del letto di semina.


CONSERVATIVO IN BIO: QUALE SOSTEGNO DAL PSR?

La maggior parte dei Psr italiani prevede misure a pagamento per impegni di agricoltura conservativa. Non essendoci un quadro normativo lapidario ciascuna regione ha potuto individuare la propria “via per il conservativo”. La logica succursale ha il sicuro merito di performare meglio le esigenze di ogni territorio con il piccolo limite di non originare un quadro definito a livello nazionale.
Ciascuna regione ha potuto decidere di “splittare” il sostegno in più sottomisure specifiche (semina su sodo, colture di copertura, minima lavorazione).
Ciò che conta per le nostre considerazioni sono le regioni dove sono ammissibili le combinazioni di impegno ed il pagamento per il conservativo (Misura 10 Psr 2014-2020), va ad irrobustire la base di sostegno per il bio.




Combinare i sostegni sarà possibile in Lazio e Campania. La prima Regione in particolare sta investendo molto in ricerca nel pieno campo a basso input.
In Toscana e Abruzzo solo parte delle sottomisure saranno combinabili con il pagamento agro-ambiente per l’agricoltura organica, poiché si punta ad evitare la sovrapposizione di pagamento (radoppio), che si genererebbe nel sostenere ad esempio le colture di copertura in corrispondenza del bio.
Il Veneto che oggi si pone come faro per ricerca e applicazione dell’agricoltura conservativa decide di non ammettere la combinabilità di sostegno con i beneficiari dei pagamenti sul bio; una tale scelta è comprensibile visti i tassi molto elevati di sostegno volti a promuovere una professionalizzazione del settore, anche in ottica cooperativista, verso l’eccellenza del metodo conservativo.


Alla prossima!

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