Cerca nel blog

venerdì 22 maggio 2015

PigMe, sarò buono col Maiale!

Ne hanno parlato a Report (domenica), dopdichè AnnoUno giovedì ci ha dedicato un'intera puntata! Ed è cosi che se ne parla un pò dappertutto, o almeno nei miei luoghi di aggregazione preferiti: la caffetteria, la macchinetta dell'ufficio ecc... Insomma: quelli legati ad una smodata quanto utile assunzione di caffeina.




L'argomento mi tocca da vicino non tanto perchè mi identifico con il maiale, quanto perchè ci ho lavorato parecchio, avendo modo di toccare con mano sia il circuito intensivo, sia meravigliose fattorie biologiche modello.
Dato che in VivieColtivi siamo sostenitori di metodi all'avanguardia ma, come dal "Manifesto", non intendiamo scendere a compromessi sulla diffusione di determinati presupposti etici, abbiamo deciso di dire la nostra con il post di questa settimana.


LO STATO DELL'ARTE

Per chi fosse estraneo alla zootecnia: situazioni illegali a parte, la realtà intensiva è quella della maggior parte degli allevamenti. Un sistema che non è malefico per costituzione, come lo interpretiamo, me che tenta semplicemente di efficientarsi tra mille difficoltà.
Mi riesce difficile, anzi impossibile, abbracciare le tesi vegane per 2 motivi: la prima è che sono idee scientificamente incoerenti e la seconda è che detesto il loro approccio intellettuale.
L'eccesso di empatia di alcuni ed il completo menefreghismo di altri sono figli della stessa "urbanizzazione culturale selvaggia", una distorsione dovuta al vuoto che separa, da generazioni, esseri umani e campagna!



verro di Large White, miglioratore per eccellenza della
genetica da allevamento intensivo


Inoltre non dimentichiamoci mai che dietro un'allevamento non ci sono  aguzzini professionisti ma persone che vivono di un lavoro, spesso doppiamente ingrato.
Produrre il suino, infatti, costa in Italia circa 1,50 € al Kg. Il prezzo è composto principalmente dall'alimentazione mentre il lavoro e le altre voci di costo sono ripartite, per economia di scala, sull'elevato numero di animali. 

A livello alimentare quello che pesa di più è la materia prima proteica, sebbene il mondo della ricerca abbia sfornato una mole ingente di letteratura  sulla sovrastima dei fabbisogni (letteratura di cui rivendico orgogliosamente un modesto contributo da tesista). Molti allevatori continuano invece a mantenere elevate le dosi,  a fini cautelari, utilizzando piani alimentari ormai vetusti.

Con un prezzo di mercato oscillante, che concede margini limitatissimi quando non origina perdite, questo settore si ritrova da anni con le mani legate di fronte alle possibilità di innovazione. L'unica alternativa dell'allevatore per recuperare redditività è sperare di valorizzare la coscia, entrando nel circuito DOP. 

Immaginiamo poi quali siano le problematiche generate da nuovi adempimenti normativi, come quelli relativi al benessere animale, che impongono incrementi di superfici a capo ridotti, ma che riducono drasticamente la capacità di allevamento di una struttura.


LA PAROLA AL SUINO

Per parlare invece del povero porcellino diciamo subito che non esiste animale che sia più "etologicamente scorretto" allevare al sistema intensivo. Infatti il suino domestico è biologicamente un cinghiale (Sus scrofa), che abbiamo reso allevabile; infatti nel medioevo è ritratto ancora come un "porcaccio" piuttosto grezzo.
Si tratta di un'animale che ha un potenziale di interazione con la realtà molto vicino a quello del cane, per natura grufolatore ed esploratore, capace di tessere complesse relazioni sociali. 

Nei regimi trofici naturali non rappresenta la preda, ma un'animale onnivoro estremamente adattabile, dotato di un'elevata "stress suscettività" evoluta per essere attivo e combattivo.


Cinghiale e Suino appartengono alla stessa specie: Sus Scrofa


Dunque, se per una mucca è accettabile e addirittura rilassante, la condizione di una moderna struttura intensiva a stabulazione libera, per un suino le disposizioni benessere, che prevedono l'obbligo di maggiorazione di spazio e la disponibilità di alcuni giocattoli con cui interagire, sembrano più un paravento etico che una pratica corretta.

Un suino da allevamento intensivo è modernamente progettato dal punto di vista genetico.
Ha un tasso di consanguineità elevatissimo, dato che gli esemplari da carne sono dei "monouso" che derivano da nuclei di soli riproduttori: una serie di scrofette, praticamente sorelle, fecondate con il seme di pochissimi verri miglioratori selezionati.

In Italia la produzione dei prodotti DOP richiede che un suino venga allevato fino a 9 mesi di età, in modo da deporre un grasso abbastanza spesso e qualitativo da far stagionare la coscia a crudo.
Nel resto del mondo l'utilizzo esclusivo è da carne, dunque, già a 7 mesi scarsi, il malcapitato si ritrova davanti al plotone e tante grazie.

La situazione cambia totalmente quando si guarda ad altre forme di allevamento: biologico, brado, semibrado, semiintensivo o free-range.
Nella mia esperienza, sia di ricerca che lavorativa, ho potuto confrontare più metodi e devo dire una cosa: il maiale resta maiale! Si, lo stesso animale: fiero, reattivo, intelligente e pratico.
Nell'allevamento estensivo esso esprime però appieno le sue doti: risolve problemi complessi (scavare un fossato attorno alla tana perchè rimanga asciutta), e mette in atto cure parentali evolute, come l'affidamento parziale della gestione della prole al verro.


allevamento biologico ed estensivo della Pianura Padana


Tutti gli stimoli vengono a mancare nel comparto intensivo, cosicchè il suino si sfoga mettendo in atto una serie di difese da stress: lotte eccessive, competizione insana per il cibo, tic ossessivi ed isolamento depressivo.

Per quanto riguarda la riproduzione, il metodo intensivo rende completamente inutili le capacità materne.
Di conseguenza queste non si tramandano naturalmente nelle generazioni, con il risultato di scrofe che, se non separate dai suinetti con apposite grate, li ucciderebbero per derivazione pratica dovuta all'inaccettabilità del perpetrare alla generazione successiva lo stato di cattività estrema imposto.
Questo problema si rende ancora più evidente se questi tipi genetici fanno da madri in un allevamento estensivo, dove il parto non è assistito e il contatto con i piccoli è pieno e spontaneo; la mancanza di doti materne comporta spesso disastri fino alla perdita dell'intera nidiata.

Ma questa violenza sugli animali non la fanno gli allevatori, la facciamo noi pretendendo che la carne sia un'alimento troppo accessibile rispetto ai metodi disponibili per produrla; il risultato è che il gap etico tra sostenibilità e prezzo lo pagano animali e allevatori, questi ultimi costretti a lavorare al meglio che possono con quello che hanno.


esemplari di Razza Sarda




IL MAIALE COLORATO

A VivieColtivi sosteniamo l'agricoltura all'avanguardia, quella che produce oltre al cibo anche esternalità ambientali, materie prime industriali innovative ed energia.
Anche per la zootecnia vogliamo essere avanguardisti, ma pensiamo che in questo campo la vera innovazione venga da iniziative faro, che propongono sistemi estensivi o semintensivi, che consentano però di incrementare il reddito degli agricoltori.





All'apice di questo nuovo modello c'è la Regione Toscana che, con il Consorzio di Tutela della Cinta Senese DOP, detiene il patrocinio sull'unica DOP europea sulla carne fresca suina (oltre che sull'intero animale non soltanto per un taglio). Ciò a fronte di un disciplinare incardinato sul metodo di allevamento semibrado e sostenibile.


esemplari di Suino Nero Casertano


Ma il comparto del "maiale colorato" non si esaurisce qui. 
La nostra penisola infatti è ricchissima di razze autoctone che incarnano, molto meglio dei suini migliorati "bianchi", le esigenze dei sistemi di allevamento estensivi: rusticità, efficienza nell'uso dei nutrienti, adattamento e capacità materne.

Quando si parla di biodiversità agricola infatti si tende a considerare soltanto quella coltivata, dimenticando quella allevata.
Ma, mentre è relativamente semplice conservare e riprodurre il patrimonio genetico della Patata Vitellotta, della Lenticchia Nera di Leonforte, della Cipolla Rossa di Cavasso, il lavoro di mantenimento di una Vacca Cinisara o di un Cavallo Bardigiano è cosa non da poco. 
Infatti, se l'agricoltura è un mestiere duro, e quella sostenibile lo è di più, la zootecnia è una vocazione, soprattutto quella compatibile.

Suino Nero dei Nebrodi, scrofa e suinetti


In ogni caso le realtà che praticano e promuovono una nuova suinicoltura, biodiversa e sensibile, sono tantissime, e spesso riescono a valorizzare gli ecotipi locali, ottenendo da questi una maggiore efficienza nell'uso del territorio, in cambio di una preziosa azione tampone contro l'erosione della biodiversità.
Di queste meravigliose razze autoctone citiamo, tra le più definite a livello morfologico, la Mora Romagnola , il Suino Nero Casertano, il Suino dei Nebrodi, il Nero di Parma, ed il Nero di Calabria, mente tra le tipologie più ancestrali dall'ampio patrimonio genetico, annoveriamo l'Antico Suino Nero Lucano e la Razza Sarda, che riassume in se un immensa varietà di genotipi espressione della varietà di influenze alla base della sua evoluzione.


esemplari di Mora Romagnola


E se dal Bel Paese ho scordato qualcuno non dimentichiamo il fantastico Cerdo Iberico, il cui consorzio costituisce un modello importante per lo sviluppo di una suinicoltura in armonia con l'ambiente.


allevamento estensivo di Cerdo Iberico


Le caratteristica principale di tutti questi animali è infatti quelle di valorizzare le risorse locali, integrando l'alimentazione fornita, con radici e piccoli frutti "grufolati" dal fondo di boscaglie o prati. Grazie all'accrescimento lento, tutti i nutrienti ricavati da questi alimenti vengono immagazzinati nei tessuti grassi, concorrendo a rendere i prodotti finali straordinariamente gustosi e vari in termini di sapore.

Non è sempre necessario ricorrere a risorse genetiche tradizionali: molte realtà infatti selezionano animali via via più adatti alle proprie peculiarità di fattoria partendo da genotipi industriali.
Tuttavia, dalla mia esperienza di tecnico, aver potuto disporre da subito di linee rustiche ed adattabili, avrebbe accorciato in molti casi i tempi di risoluzione di alcuni problemi.

Le competenze e la dedizione richieste al suinicultore che si affaccia a questo segmento sono naturalmente elevate. Siamo però convinti che questi metodi possano assecondare le richieste di una clientela sempre più attenta, disposta a consumare meno carne (il che è anche corretto dal punto di vista nutrizionale), riconoscendovi allora un valore aggiunto etico e qualitativo.

D'altra parte, se per l'alimentazione vegetale del futuro dobbiamo trovare il giusto compromesso tra Slow ed industriale (intensivizzazione sostenibile), per la carne è fondamentale lavorare insieme per un nuovo "ritorno alle origini".

Per approfondire l'argomento vi consigliamo questo ottimo manuale tecnico:


Ai suinicultori biodiversi, i nostri migliori auguri. E' il vostro momento!

Nessun commento:

Posta un commento